Sulle alture di Ambolikandrina, presso la zona
universitaria, si eleva in posizione dominante lo Studentato dehoniano
del Madagascar, costituito da un edificio in stile coloniale
ristrutturato e da una zona di nuova costruzione che comprende la
chiesa e le abitazioni dei giovani religiosi. Incontro padre
Pasquale Marinucci, superiore della Comunità e padre Rocco
Nigro, che ha il difficile e delicato compito di educatore degli
studenti. Essi provengono dalle varie parti del Madagascar centrale.
Hanno incontrato i Missionari e sono stati affascinati dal carisma
della vita comunitaria e apostolica espresso attraverso lo spirito
di amore e di riparazione. Padre Dehon ha voluto che i suoi
missionari mettessero al primo posto l’amore verso Dio, reso
tangibile attraverso l’amore ai fratelli. Questo amore però, per
essere autentico, deve esprimersi nell’impegno costante ed effettivo
per conseguire la santità personale e per cambiare le situazioni di
ingiustizia, di emarginazione e di sofferenza. Per questa ragione
nella spiritualità dehoniana si pone in evidenza l’oblazione a Dio e
il servizio alla crescita dei fratelli, nei quali bisogna
riconoscere e fare emerge re il volto di Cristo.
La preghiera lo studio, la collaborazione alle
attività parrocchiali temprano gli studenti
nel loro cammino vocazionale e nella preparazione al futuro. Hanno
un buon esempio nei Missionari e nell’educatore. Egli, come tutti i
Missionari, non si ferma allo stretto necessario, ma vive la
caratteristica dehoniana di fare traboccare la misura della carità.
Oltre a guidare i teologi nella vita religiosa, segue con attenzione
un gruppo di universitari che vengono in casa per studiare e per
consultare la biblioteca, perché in Madagascar i libri sono un lusso
riservato a pochi. Trova il tempo per valorizzare e aiutare
l’artigianato di giovani e famiglie povere. Distribuisce alle
famiglie indi- genti con bambini, gli aiuti che gli giungono
dall’Italia.
Sotto la guida degli educatori, i giovani
teologi stanno imparando a donare il Vangelo della carità con il
Vangelo della parola e con i sacramenti. Fanno questo, inserendosi
nelle attività delle parrocchie. Le difficoltà nel cammino della
vita consacrata sono tante, ma sulle spine sono sbocciati i fiori
che hanno prodotto i primi frutti. Tre giovani malgasci sono stati
ordinati sacerdoti e vi sono cinque diaconi che svolgono il loro
apostolato nelle varie Missioni, prima di riceve re 1’ ordinazione
presbiterale.
Intervista al P.
Giuseppe Potenza
1 Ciao, p. Giuseppe. Ben
tornato in Italia. Quando sei sceso dall’aereo? E che farai in
questo tempo di permanenza tra noi?
Grazie tante per
l’accoglienza e l’opportunità che mi dai di raccontare qualcosa
della Missione di Imerimandroso, Madagascar, dove lavoro. Sono
arrivato in Italia il 29 dicembre scorso, lasciando il Madagascar
nel periodo più caldo dell’anno e delle piogge cicloniche per
trovare qui il freddo intenso e neveo. La scelta di questa stagione
è dovuta ai lavori nella Missione che e in questo periodo rallentano
non poco a causa delle cattive condizioni climatiche e delle strade
impraticabili, che non permettono le visite alle comunità cristiane.
La scopo di questo ritorno in Italia è prima di tutto per un po’ di
riposo fisico e mentale e poi una visita ad amici e familiari.
Siamo ancora 3 fratelli e 2 sorelle viventi, dei dieci che eravamo
in famiglia, e, se consideri che io, che sono l’ultimo, ho già quasi
70 anni, non ci restano molte occasioni per rivederci ancora vivi.
Come al solito poi approfitterò per fare qualche controllo della
salute, e se qualcuno mi chiamerà parlerò anche dei progetti e del
lavoro dei missionari.
2 Quando sei andato in missione all’estero e
perché?
E’ stato il 19 settembre
del 1985 che ho messo piede per la prima volta in Madagascar,
passando per la Russia, perché l’aereo era russo e costava meno. Era
anche la prima volta che uscivo dall’Italia. Andare in missione e
soprattutto in Africa, non era nei miei progetti, anche perché mi
facevano impressione i coltellacci e le lance che si vedevano in
mano a quella gente. L’occasione è stata una richiesta di aiuto da
parte dei padri che già vi operavano, perché, dicevano, che quello
era il momento propizio per incominciare a impiantare la
congregazione in quella terra, se qualcuno andava a dare una mano.
Poiché nessuno si dimostrava disponibile, mi sono offerto io per un
lavoro di tre o cinque anni, come mi aveva chiesto il P. Generale:
P.Panteghini.
3 Dove hai lavorato in Madagascar in questi venti
anni?
La Missione di Imerimandroso, è stata la mia
prima residenza. I primi sei mesi però sono andato a studiare il
malgascio ad AMBOSITRA, dove ho trovato una trentina tra preti suore
e laici missionari di tutte le età che, come me, ritornavano a fare
gli scolaretti di una piccola e dinamica suora malgascia: Suor
Gènèviève. Al termine del corso sono ritornato a Imerimandroso per
la mia prima esperienza missionaria, con un bagaglio di conoscenza
di Dio e di fede notevole, ma con un difficoltà enorme di non
riuscire a comunicarlo a causa della lingua.
Dopo tre anni dovendo iniziare la
costruzione dello scolasticato a Antananarivo, la capitale, mi
chiedono di trasferirmi là assieme al Fr. Dubla e un P. Portoghese,
per iniziare e seguire i lavori.
Erano tempi turbolenti e pericolosi e la nostra piccola residenza
era nel bel mezzo della zona universitaria, primo focolaio di
disordini e di rivolte varie. I taxi rifiutavano di arrivarvi e la
polizia se venivano era a camionette strapiene. Gli studenti
venivano a cercavano da noi asilo e aiuto, e in quel periodo si da
inizia l’apostolato universitario e si prende la parrocchia di
Ambohimirary.
Tre anni dopo mi ritrovo in questa parrocchia a collaborare con il
P. Umberto Cardillo, con il quale resto quasi tre anni, dopo di che
vengo trasferito a Imerimandroso, dove mi trovo ancora finio ad
oggi.
4 Hai trovato terreno fertile per l’evangelizzazione?
Quali le difficoltà più rilevanti.
Va detto prima di tutto che anche
nella zona del lago Alaotra la presenza cattolica ha già cent’anni
e quindi ci si trova ad operare più a sostegno e rafforzamento le
fede e sacramentalizzazione, che per una prima evangelizzazione,
anche se bisogna riconosce che anche questa non manca. Per lo più,
sono dei cristiani cattolici che spostandosi in altri paesi iniziano
a raccogliere gente per la preghiera e ad avviare le nuove comunità.
Il Padre arriva in un secondo momento per verificare, organizzare e
catechizzare. La difficoltà maggiore e costituita dalle tradizioni e
costumi malgasci, che non lasciano la gente abbastanza libera per
accogliere la novità di vita e di modi portati dalla fede in Cristo.
Si ha l’impressione di trovarsi in un sincretismo religioso che
lascia vivere usi (fomba) malgasci e cristiani, ma non è
ancora riuscito a creare una mentalità e un spirito secondo il
vangelo.
Si parla ancora molto di malgascizzazione e inculturazione, e credo,
giustamente se s’intende spogliare il messaggio cristiano della
veste Italiana o Francese ch’egli abbiamo messo addosso, ma
sbagliando se si pretende di adeguare il messaggio cristiano agli
usi e alla cultura malgascia. Il messaggio cristiano è già cultura
nuova per ogni nazione per i rapporti che instaura con Dio: Uno e
Trino, con gli uomini: siete tutti fratelli, e con il creato: tutto
è vostro, voi siete di Cristo e Cristo è del Padre. Cose che non
esistono nelle altre culture e neanche nel giudaismo, ma portate da
Cristo a beneficio di tutti gli uomini
5 .Hai trovato forza nella comunità? E come vedi le
prospettive della presenza dehoniana nell’isola rossa?
La nostre comunità fino a poco tempo
fa erano piuttosto omogenee: gli italiani da una parte e i
portoghesi dall’altra. Soluzione questa ritenuta valida per le case
di apostolato o i distretti, ma non estesa alle case di formazione
che di solito erano miste. Ora con l’arrivo dei confratelli malgasci
anche nei distretti c’è più apertura e “bio-diversità”. Che le
comunità diano forza o meno, dipende dalla persona e da come uno
s’inserisce ed è accettato. Personalmente posso dire di aver quasi
sempre trovato incoraggiamento e sostegno dalle comunità dove sono
stato, assieme a tribolazioni e incomprensioni. Fa parte del vivere
assieme, e alcune volte è meglio chiedere di cambiare comunità
piuttosto che farsi la guerra e
rovinare il bene che si era costruito assieme. Posso dire di averlo
dovuto fare già diverse volte, senza tuttavia prenderlo come un
dramma, ma come un’occasione per andare a capo e iniziare di nuovo
in contesti nuovi e con persone diverse.
La nostra presenza in Madagscar si
sta qualificando sempre più sotto molti punti di vista, anche se non
si può dire che possiamo metterci l’etichetta di specialisti o
tecnici dell’apostolato e della scuola o del lavoro. E’ piuttosto lo
stile e l’impegno nel dar vita e dirigere i nostri lavori ordinari
che ci fa riscuotere stima e apprezzamento sia dalle autorità civili
e religiose che dal popolo. Se il Signore continuerà a mandarci
nuove vocazioni e il numero dei confratelli malgasci aumenterà ogni
giorno, fra qualche anno avremo delle opere gestite da loro soli e
secondo la mentalità malgascia. Attualmente si lavora assieme, ma la
direzione è ancora in mano agli Italiani o ai Portoghesi. Sarà
necessario un periodo di rodaggio e una preparazione più specifica
ai compiti che dovranno svolgere, ma già adesso, ho l’impressione,
che si sentano preparati e non aspettino che il momento di poter
fare da soli e secondo i loro criteri. Ho notato questo
atteggiamento in coloro che sono venuti a collaborare con me a
Imerimandroso, perché difficilmente s’informano prima degli usi e
dei metodi del luogo, ma partono per l’azione come chi ha già un suo
programma e una metodologia collaudata da seguire. Le cantonata
verranno da sé, ma speriamo che aiutino a crescere.
I
campi che attualmente ci vedono impegnati sono: primo, il lavoro
apostolico nei distretti, e i suoi risvolti sociali, che spesso
comportano impegno per scuole di base, formazione professionale per
ragazzi e ragazze, agricoltura e igiene sanitaria. Secondo, la
formazione e preparazione di giovani alla nostra vita religiosa:
pre-seminario, noviziato, scolasticato e studentato. Terzo,
l’università di Antsirabe, iniziata e condotta dal P. Peppino Cuomo.
Le filiere aperte a oggi sono sei, gli alunni 700 e lo scorso anno
ha già sfornato i primi diplomati.( non ricordo il numero dei
diplomati e non son sicuro di quello degli alunni). Diventati
Regione autonoma, si sta lavorando alla chiarificazione dei
progetti, e al consolidamento delle opere esistenti, per non vivere
ogni giorno nella provvisorietà e nell’ emergenza per mancanza di
personale e di mezzi. Speriamo però che ciò non diventi un chiudersi
su se stessi e non spenga quello slancio degli inizi tutto aperto a
Dio e alle necessità della chiesa malgascia.
6 La chiesa malgascia gode
buona salute?Quali le problematiche più accentuate, all’interno
della chiesa e con le altre religioni?
Bisognerebbe essere veramente uno
studioso per rispondere convenientemente a queste domande e non un
povero missionario che vive ai margini della foresta, in paese senza
luce, senza campo per i telefoni e senz’acqua potabile e con le
strade di comunicazione spesso impossibili, ma cerco di farlo non
con competenza, ma per quello che mi è dato di sentire. Riguardo
alla chiesa cattolica malgascia, o come dovrebbe intendersi la
chiesa che sta in Madagascar, la chiesa di Cristo e non dei malgasci
o degli Italiani o dei….sta prendendo sempre più coscienza di
questo, rivendicando la sua autonomia e prendendo un po’ le
distanze dalle posizioni dei protestanti con i quali si era legata
durante gli sconvolgimenti politici degli ultimi tempi. Forse non si
può dire altrettanto dei singoli membri della gerarchia
ecclesiastica, tra i quali è ancora vivo un certo rifiuto degli
stranieri (vazaha), e della maretta e dei pregiudizi tribali. In
generali si può dire che è una chiesa ben strutturata, (venti sedi
vescovili, seminari propri e un centro universitario per la
filosofia e la teologia), dinamica e in continua espansione, ma
anche critica di sé e coraggiosa nel denunciare i mali del governo e
della società. Ciò che ancora manca è l’incarnazione della fede
nella vita e una presa di posizione comune circa le usanze tipiche
della cultura malgascia: circoncisione, matrimonio, morti (“razana”)
e esumazione (“famadiana”)…Anche per il clero una miglior selezione
dei candidati e una formazione più adeguata sarebbe garanzia di una
maggior fedeltà e azione pastorale più efficace. Vivaci e
partecipate le celebrazioni liturgie, ma bisogna iniziare a fare i
conti col tempo e agevolare la possibilità di parteciparvi con
luoghi di culto o chiese non troppo distanti dalle loro case. I
distretti poi sono ancora troppo vasti per permettere un’azione
pastorale incisiva e una presenza più frequente dei sacerdoti tra i
cristiani. Ne è da trascurare il modo e i mezzi per condurre ogni
comunità cristiana a divenire autosufficiente, sganciandola dalla
dipendenza degli aiuti esterni, almeno per la sua vita ordinaria.
I rapporti con le altre confessioni
cristiane sono abbastanza buoni. Matrimoni, funerali e preghiera
ecumenica hanno già dei formulari comuni, applicabili nel caso di
matrimoni misti. Nella vita pratica però l’incidenza è quasi nulla e
inefficace, perché ognuno va per la sua via. Se non si è costretti
ad adottare una linea difensiva, data la tendenza dei protestanti a
sovrapporsi e entrare negli organismi dei cattolici, imponendo
doveri. La chiesa cattolica infatti è la chiesa dei poveri, sia in
quanto a ricchezze che in quanto a istruzione e tecnologia e quindi
diventerebbe facile preda di chi è più preparato e meno condizionato
nel trarre profitto da quanto può essergli utile.
Manca talvolta la reversibilità, così
i cattolici riconoscono il battesimo dei protestanti e non
ribattezzano chi entra nella confessione cattolica, non così tra
loro. Nei giorni di preghiera per l’unità dei cristiani a
Imerimandroso si è convenuto che la predica e la direzione della
preghiera sia fatta dal responsabile della chiesa o del tempio dove
si va pregare e questo per evitare di offendere la suscettibilità
dei fedeli che in casa loro sentissero delle affermazioni e
accentuazioni contrarie alla loro fede.
7 La società civile aiuta
la missione della chiesa? C’è vera libertà religiosa e civile? E
d’informazione
Leggo su un giornale che il
Madagascar è qualificata come una repubblica presidenziale, retta da
Marco Ravalomanana. Questo forse nella pratica è vero, perché la
nuova costituzione approvata ai tempi di Ratsiraka, che forse si
preparava un governo a vita, aveva accentrato nelle sue mani tutti i
poteri perché toccava a lui l’ultima decisione, ma dovrebbe essere
una repubblica democratica.
Il clima che si respira è clima di
libertà, e volontà di uscire da uno stato di insufficienza
alimentare, per instaurare un progresso rapido e duraturo. Molte
opere sono in cantiere e qualcosa di nuovo si vede. Ma lo stato
interviene ancora poco o niente per proteggere e incentivare
Con la Chiesa c’è rispetto e buoni
rapporti, ma non sudditanza e strumentalizzazione. La chiesa, Eglise
Cattolica Apostolica Romana (ECAR) è riconosciuta civilmente con
tutti i diritti e doveri connessi. C’è libertà di culto,
d’insegnare, d’informazione…Per quest’ultima c’è la possibilità
della censura, se l’informazione diventa lesiva e dannosa per il
governo al quale compete il diritto-dovere di intervenire. Non
bisogna dimenticare comunque che il Madagascar è una giovane
repubblica, ancora poco abituata ad autodeterminarsi e con gruppo
dirigente formato dal vecchio regime, per cui il nuovo tanto
auspicato stenterà ad arrivare se non arrivano gli uomini nuovi che
lo promuovono. Si cambia presentazione, ma il contenuto è sempre lo
stesso. Il popolino sta apprezzando le nuove impostazioni, ma nei
circoli più elevati già iniziano le critiche e il malcontento che se
dovessero crescere potrebbero mettere in serio pericolo il governo
Ravalomanana.
8 Ci sono nostre vocazioni
religiose malgasce? Quali i pregi e le difficoltà nella formazione?
La risposta è più che ovvia, se si
aggiunge che abbiamo già 6 sacerdoti malgasci e altri due potrebbero
esser ordinati quest’anno. Il lavoro formativo comunque è molto duro
ed esigente, perché non si può improvvisare, ma bisogna essere
preparati, anche se più che di maestri con un buon bagaglio di
conoscenze, sono necessarie delle persone esperte e convinte della
loro vocazione, amanti della congregazione e di Cristo. I giovani
che arrivano da noi dovrebbero venire da famiglie cristiane, ma
spesso è proprio questa che non esiste, nel senso che la figura
paterna è mancante. Sono poi persone già di una certa età, sopra i
vent’anni, con un iter formativo ed esperienze umane e cristiane
molto varie, e con abitudini e legami non facili a spezzare. Queste
diversità esistenti sia a in campo scolastico, che in fatto di
cultura tribale, ci ha portati a decidere di far passare tutti per
il così detto anno zero o di messa a livello, per iniziare almeno
con una base comune la muova vita nella congregazione.
Ciò
nonostante, le gerarchie per età e per tribù si creano da sole,
perché fa parte della loro cultura il rispetto e la subordinazione
al più anziano “zoky” o ai merina: la tribù che ha unificato e
dominato su tutto il territorio. Conseguenza pratica di ciò, il
silenzio e la mutua protezione per tutto ciò che potrebbe nuocere
alla buona reputazione dell’altro, specie riguardo ai vazaha o noi
europei, anche se confratelli. Il malgascio apprende facilmente, sa
industriarsi, accontentarsi, attendere con pazienza il momento
opportuno per fare quello che vuole, sa analizzare bene e
programmare, salvo poi a non rispettare orari e programmazioni.
Secondo me, il malgascio non sa o non vuole prevedere l’imprevisto,
non sa limitarsi, né amministrare bene le sue risorse economiche
anche se poche. Non dà molta fiducia alla gestione economica degli
altri per cui diventa difficile lavorare assieme e costituire delle
cooperative valide e stabili. La difficoltà maggiore nella
formazione
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