Sorella acqua

Nell’esperienza missionaria ho trovato a volte difficoltà per il cibo, per la salute, per gli insetti, ma ho sofferto soprattutto per la mancanza d’acqua.

I veri Missionari sorridevano davanti alle mie difficoltà, ma in fondo si capiva che essi si erano abituati a quello stile di vita. Per fare una buona doccia, nei centri missionari, in genere non vi sono problemi. Purtroppo non è la stessa cosa quando si giunge nei villaggi ove spesso non c’è nemmeno un pozzo. La popolazione locale specialmente donne e bambini, si reca al più vicino accumulo d’acqua, che sia un rigagnolo o una pozzanghera non conta. Questo modo di agire dettato dalla estrema necessità e dalla mancanza elementare di educazione all’igiene, comporta rischi e conseguenze che è facile immaginare. I bambini hanno l’addome gonfio non per il cibo, ma per le malattie.

I Missionari cercano di insegnare a bollire l’acqua prima di berla, ma quando uno ha sete e non ha a disposizione il fuoco e un recipiente metallico, come può fare?

Per dissetarsi viene utilizzata l’acqua in cui è stato bollito il riso, ma spesso il riso è poco e l’acqua non è troppa.

Nelle missioni viene raccolta l’acqua piovana che si fa bollire e filtrare prima di berla. Nei villaggi, secondo le possibilità, si fa scavare un pozzo in modo da avere acqua abbastanza pulita, anche se è consigliabile di farla sempre bollire prima di berla. Nei primi anni i Missionari dehoniani, in collaborazione con volontari laici, hanno costruito un acquedotto di circa venti chilometri, dalle montagne fino a Imerimandroso, attraversando paesi e villaggi. Purtroppo questa grandiosa opera oggi è quasi inattiva, per le rotture delle tubazioni a causa del materiale scadente e per la mancanza di educazione a un corretto uso da parte della popolazione.

Oggi si sente il bisogno di fare un nuovo acquedotto, ma i costi sono proibitivi.

Nel frattempo, per i Missionari di Andreba e di Imerimandroso, sarebbe necessario un macchinario che renda potabile l’acqua necessaria a dissetarsi.

 

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